Seguo con attenzione tutti i post e i video di diversi canali interessanti su Telegram e altri social, ma cerco sempre di evitare i commenti perché non amo le polemiche, tantomeno gli insulti.
Mi sono deciso a scrivere questo articolo perché ho notato che parecchia gente, che una volta si beveva tuto quello che scriveva o mandava in onda il mainstream, oggi si beve tutto ciò che pubblica o manda in onda la cosiddetta “controinformazione”, senza una minima analisi, senza un minimo sforzo, non dico di contestualizzare le notizie, ma di proporre una propria idea in merito all’argomento.
Tutti a ripetere come tanti pappagalli le ipocrisie enunciate da altri.
Perché è sull’ipocrisia che si basa il mondo in cui viviamo.
Su questo specifico argomento, la proposta di Trump di acquisire la Striscia di Gaza, e tutto ciò che ne è derivato, comprese le dichiarazioni di esponenti politici mondiali, anche italiani, però mi sento di intervenire perché credo che l’esposizione dei fatti, sia da parte del solito mainstream, e sia della controinformazione, manchi di alcuni punti salienti.
Ne sono stati raccolti molti, ma il disegno che ne consegue non è, a mio parere, quello reale.

-Primo punto: l’Italia è sempre stata Crocevia di intrighi internazionali, sia per la sua posizione geografica e strategica sia per l’importanza delle decisioni politiche. Soprattutto oggi perché, anche se sembra che nessuno se ne sia accorto o voglia vedere, ci troviamo in una situazione di guerra. Perché scandalizzarsi tanto del “caso Paragon” ove sono coinvolti i servizi segreti, giornalisti e ONG? Tra l’altro si parla di un contratto rescisso, quindi attivato prima dell’insediamento dell’attuale governo.
L’Italia è in guerra, e neppure in una posizione marginale, con tutto quello che ne consegue. Quindi spie e sistemi di spionaggio sono solo la punta di un iceberg. Qualcuno potrebbe obiettare che lo eravamo anche ai tempi della guerra fredda, e sicuramente è così. Infatti anche all’epoca vi fu qualche caso clamoroso simile a quello odierno. Però in quegli anni la situazione era ben diversa da quella che è oggi: vi era una linea sul terreno ben delineata tra due blocchi contrapposti. Oggi tutto questo non c’è più. Quale risposta. ad esempio, si può dare alla domanda: “Da che parte sta l’Italia?”.
Se riflettete, non c’è n’è una univoca.
-Punto secondo: come ho già detto i soggetti attivi di questa guerra non sono solo due, e neanche tre, ma sono molti di più. E la posta in gioco è molto alta. Qui non si tratta di tracciare una linea per terra e dire “Io sto di qua, tu stai di là; tu occupati della tua zona di influenza e io mi occupo della mia”, qui si tratta di impossessarsi delle materie prime che servono per costruire e alimentare nuove tecnologie che permetteranno, a chi le avrà, di controllare l’intero pianeta. Vista in questa ottica, anche tutta l’operazione “covid 19” risulta essere stata non un’emergenza sanitaria, ma una vera e propria operazione militare (cosa che avrebbe più senso di tutte le teorie che si sentono in giro).
In questo frangente rispondere alla domanda “da che parte sta l’Italia” è ancora più stringente. Sta con i governi precedenti che hanno tramato assieme alle amministrazioni dem (Obama in primis) per impedire a Trump di essere rieletto (vedremo presto a quali stravolgimenti porterà lo smantellamento dell’USAID americano e le relative purghe in ambito CIA ed FBI attualmente in atto, “Affaire” molto più grande delle beghe da cortile di casa nostra, che servono solo a distrarre l’opinione pubblica nostrana), oppure con questo governo che, seppure a piccolissimi passi, pare ci stia portando verso l’uscita da tutto questo?
-Punto terzo: che siamo in guerra l’ho già detto, che l’immigrazione clandestina e forzata sia un’arma di guerra, è chiaro a tutti o qualcuno ha ancora dei dubbi?
Sapete chi finanzia, ad esempio, l’associazione che ha denunciato Giorgia Meloni per il caso Almasri? E’ la stessa persona che finanzia la ONG di Casarini e le altre che traghettano clandestini nel nostro Paese: George Soros.
Con questa arma si sta, al momento, combattendo in tutta Europa una battaglia cruciale tra globalismo e multipolarismo. E mi pare anche chiaro che i soggetti in campo siano: da una parte tutte le correnti politiche dem (non solo l’opposizione, ma anche ONG, associazioni culturali, attori, cantanti, nani e ballerine), la magistratura (quasi totalmente affiliata alla massoneria), i servizi segreti e i media (quasi totalmente schiacciati sulla narrazione contro il governo perché foraggiati profumatamente, vedi USAID), e dall’altra il solo governo (neanche unito, perché una parte di esso, FI, ancora strizza l’occhio al centro), e qualche risvegliato dall’ultimo sonno. A me sembra una battaglia impari. Eppure la Giorgia continua a macinare consensi.
Perché?
Forse qualcuno tra il popolo ha capito la posta in gioco? Maggiore consapevolezza della situazione?
L’attuale governo, pur nei suoi limiti e nei suoi difetti, resta al momento un baluardo strategico contro la deriva globalista in essere. In attesa che a questo si aggiungano altri, magari Austria e forse Germania, e che arrivi l’ondata dei dazi e delle purghe americane, ci troviamo a essere tra incudine e martello. Il “da che parte stare” si riduce a piccoli movimenti orizzontali per ridurre l’entità dei colpi.
-Punto quarto: Israele. Da che parte sta Israele? Questo sembra non chiederselo nessuno, eppure è fondamentale saperlo. Perché rispondere a questa domanda vuol dire scoperchiare il vaso di Pandora. Un Pese così piccolo che da decenni, direttamente o indirettamente, tiene le redini delle relazioni geopolitiche dell’intero pianeta. Inoltre alcuni, molti, troppi, suoi esponenti di spicco controllano le finanze globali.
I Sionisti khazariani, che, sappiamo tutti, ad oggi controllano praticamente il mondo (media, mondo accademico, intrattenimento, banche, AIPAC, Big Pharma, Big Tech, per non parlare di Blackrock e Vanguard), da che parte stanno?
Perché tutto parte da li, e non dalle parole di Trump in quella conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in visita a Washington.
Questo è da tenere presente.

Benjamin Netanyahu, l’esponente politico di quel mondo sionista che nulla ha a che fare con Israele e il mondo ebraico in generale, era al fianco di Trump quando questi ha detto: “…gli Stati Uniti prenderanno il controllo di Gaza, lo possederanno e la ricostruiranno per farne la Costa Azzurra del Medio Oriente -la “riviére”, ha detto- con grattacieli e resort che si affacciano sul mare”.
Intendiamoci bene: non ha detto “trasformerò Gaza in una nuova Mar-a-lago” come riportato nei commenti da quasi tutto il mainstream, a cui non bisogna mai dare credito, ma piuttosto ha proposto un’idea, quella di fare della Striscia di Gaza un protettorato, o simil protettorato, statunitense.
In questo modo Hamas non avrebbe più ragione di esistere, e finirebbe anche la prigionia del popolo palestinese schiacciato entro confini segnati, fino ad oggi, dal filo spinato.
Inoltre ha tolto letteralmente dalle mani di Israele l’arma con cui teneva in scacco Oriente e Occidente da ormai troppo tempo; e potrebbe benissimo essere anche una tattica per costringere le nazioni islamiche a prendersi le loro responsabilità e a sedersi finalmente ad un tavolo, invece di restare inermi ad assistere ad ogni massacro.
Oggi le vediamo tutte, dalla Cisgiordania all’Egitto, commentare negativamente tali dichiarazioni, e la parola che sembra accomunare le dichiarazioni è “Mar-a-lago”, mai pronunciata da Trump in quell’occasione, ma suggerita da tutto il mainstream.

Perché “Mar-a Lago”?
Perché è stato per Trump un trampolino di lancio nel mondo di chi conta, un grande successo sotto tutti i punti di vista: strategici e di investimento.
In principio non era altro che una villa situata a a Palm Beach, in Florida. Costruita nel 19920 da Marjorie Merriweather Post, che alla morte la designò come residenza invernale per i presidenti degli Stati Uniti, fu elevata a Monumento Storico nel 1980.
Nel 1985, Trump vide un’opportunità che altri avevano perso. Ma la sua offerta iniziale per Mar-a-Lago fu respinta.
Così, acquistò strategicamente un terreno tra Mar-a-Lago e l’oceano per 2 milioni di dollari, causando il declino dell’interesse concorrente.
Si aggiudicò poi la villa da 126 stanze per soli 7 milioni di dollari. Ma capì subito perché gli altri se ne stavano alla larga.
La proprietà stava perdendo soldi. A causa della sua importanza storica, c’erano requisiti di conservazione da rispettare.
Inoltre c’erano anche dei servizi di lusso da mantenere, ampie ristrutturazioni necessarie da compiere e costi operativi enormi.
Per anni, è sembrato un errore enorme.
Poi Trump ebbe un’idea che avrebbe cambiato tutto: invece di tenerla come residenza privata, la trasformò in un esclusivo club privato.
Ma non un club qualsiasi.
Ne fece il club più prestigioso di Palm Beach.
La trasformazione iniziònel 1994:
• Un resort da 118 camere, 58 camere da letto e 33 bagni,
Cinque campi da tennis in terra battuta,
Cinque campi da golf,
• Trump Spa e Salon,
• Suite per gli ospiti di lusso,
• Accesso al Beach Club,
Piscina sul lungomare,
3 Rifugi antiatomici.
Ma la vera genialità stava nella struttura associativa: Trump inventò quella che oggi si potrebbe definire una “scarsità artificiale”.
Ha fissato un limite massimo di 500 membri con una quota di iscrizione di 25.000 $.
L’élite benestante di Palm Beach fece letteralmente a pugni per entrare in quel club esclusivissimo.
Nel 2014, quando entrò definitivamente in funzione, generava già 15,6 milioni di dollari all’anno.
La proprietà che un tempo sanguinava denaro è diventata una vacca da mungere.
E oggi? Oggi Guadagna oltre 40 milioni di dollari all’anno, e l’elenco dei membri è stupefacente. Ne fanno parte, tra gli altri:
• Il miliardario William I. Koch
• Il magnate della finanza Thomas Peterffy
• Il titano immobiliare Richard LeFrak
• Il CEO di Newsmax Christopher Ruddy
In questo modo, Trump, da allora non solo dirige l’accesso al suo club, ma riesce a vendere uno status.

Ma tutto questo è ripetibile a Gaza, lontano dagli USA, e con una situazione che può esplodere da un momento all’altro?
E poi ci sono gli sfollati da gestire, gente senza più una casa, un lavoro, famiglie distrutte. Com’é possibile pensare a ripetere un simile successo, soprattutto economico, in una situazione simile, con mille varianti e senza tenere conto dell’aspetto umano e umanitario della questione.
Devo dire che, a caldo, quelle parole anche a me avevano dato proprio una cattiva sensazione.
Ma riflettendoci bene, una cosa era certa: l’obiettivo di Israele è sempre stato quello di annettersi Gaza, non certo quello di cederne il controllo agli Stati Uniti. Quindi, a meno Trump non fosse altro che un altro burattino di Israele (i social media sono pieni di accuse del genere anche oggi), il risultato di quelle parole non era stato esattamente quello che Netanyahu si aspettava
Alla luce di tutto questo, perché commentare una notizia che non esiste, se non per distrarre dal vero succo della questione?

Per tornare al nostro governo, oggi è un pullulare di insulti per Antonio Tajani (vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale) che ha osato dire una verità assoluta, ricoperta dall’ipocrisia che aleggia come una spessa coltre di nubi da questa parte del mondo: ad oggi, lo Stato Palestinese non esiste.
E, aggiungo io, non è mai esistito! Trovate qualche cartina geografica che ne delinei i confini?
E l’idea di avere due stati su un unico territorio è la pietra angolare di tutte le guerre e sofferenze che i palestinesi hanno dovuto sopportare dal ’48 ad oggi.
Nè coloro che si dichiarano amici, tantomeno i nemici, hanno mai fatto nulla per porre le basi per la creazione di uno stato palestinese. Rimane l’ipocrisia di migliaia di bandiere sventolate nelle piazze di mezzo mondo e l’ipocrisia che le sostiene.
Soprattutto gli “amici”: quanti hanno risposto alle parole di Trump proponendosi di ospitare, anche solo temporaneamente, quel popolo martoriato?
Partendo dal presupposto che Trump non è il burattino di Israele nonostante l’impressione data, e che, per quel che conosco del soggetto, non dice mai cose senza prima averle pensate, bisogna ammettere, quindi, che su un punto ha ragione: chiunque abbia visto le immagini di Gaza non può pensare che i suoi abitanti possano tornare a vivere in quel posto pericoloso e insalubre, senza infrastrutture, senza acquedotti, gas, elettricità, con bombe inesplose e rovine pericolanti.
Quindi, l’idea che mi sono fatto della vicenda è la seguente:
Il piano di Trump per Gaza è forse l’unico dignitoso è fattibile: prima ricostruire e poi tornare.
Gli ultimi 100 anni sono stati caratterizzati solo dalla violenza e, anziché continuare in questo circolo vizioso, Trump ha valutato un piano diverso, senz’altro fuori dagli schemi, per mischiare le carte sul tavolo e arrivare ad una pace definitiva e duratura.
C’é gente che per anni hanno prosperato su un conflitto che sembra non avere fine, con soldi e finanziamenti a pioggia su armi e aiuti umanitari.
L’obiettivo principale deve essere quello di fermare definitivamente le violenze, e se l’idea originale di due nazioni su quel territorio è la causa di tali violenze, bisogna rimuoverla.
In merito ad Israele, potrebbe portare a un significativo ridimensionamento dei sionisti khazariani, e una lenta ma continua interruzione dell’ossigeno che alimenta la bestia potrebbe essere la strada da seguire.

In conclusione:
Forse le mie sono soltanto le riflessioni di chi non vuole perdere la speranza. Rimango dell’idea che al mondo non esiste un messia che possa salvarci dalla nostra inerzia e dalle nostre responsabilità. E quando veramente arriverà, sarà soltanto per separare il grano dalla pula.
Penso anche che Trump, però, si sia guadagnato in questi primi giorni dall’insediamento il beneficio del dubbio.
Giorni in cui si sono susseguiti vari ordini esecutivi, addirittura 42 quelli emessi nelle prime 12 ore, su cui si avevano pochi dubbi che sarebbero stati emessi in quanto formavano la base su cui è stato eletto.
Tra questi ci sono ordini che invertono il corso della governance statale, come quello, per esempio, che istituisce il Dipartimento “Doge” per l’efficienza amministrativa, promesso e ora affidato a Elon Musk; c’é quello che preoccupa le istituzioni europee, dedicato al Global tax deal; Poi ci sono quelli programmatici e abrogativi, in cui si legge, esplicitamente, “la precedente amministrazione ha incorporato pratiche profondamente impopolari, inflazionistiche, illegali e radicali in ogni agenzia e ufficio del governo federale”; e poi molti altri ancora, su cui si discute in tutto il mondo, e che sicuramente faranno discutere anche nel prossimo futuro.
Non tutti gli ordini esecutivi sopravviveranno al Congresso e alla Corte suprema, forse, ma dimostrano la voglia di cancellare, sin da subito, quanto fatto negli ultimi quattro anni dal suo predecessore Joe Biden, per riportare “l’America all’età dell’oro”, come ha dichiarato Trump durante l’Inauguration day.
Il globalismo sta dando gli ultimi colpi di coda e noi dovremmo tutti aspettare di vedere come andrà a finire.
Siamo solo all’inizio.
Diceva Don Chisciotte:
“Sappi, Sancho, che tutte queste tempeste che ci accadono sono segni che presto il tempo si calmerà e le cose andranno per il meglio; perché non è possibile che il male o il bene durino per sempre, e da ciò si deduce che, essendo durato a lungo il male, il bene è ormai vicino…”
