Coraggioso, intrepido, instancabile e sprezzante del pericolo. Ma anche un uomo d’onore, un grande marinaio d’Italia e fedele ai suoi ideali fino in fondo..anche quando quegli stessi ideali non furono più fedeli a lui. Questa fu la vita di Carlo Fecia di Cossato, abile ufficiale della regia marina che nel pieno della seconda guerra mondiale ottenne grandi risultati come comandante sommergibilista. La storia di un uomo che non merita di essere dimenticato. La storia di un uomo che ancora oggi può essere solo d’esempio per i giovani d’Italia a cui hanno rubato ideologie come onore e senso del dovere.
La figura di questo personaggio mi ha sempre appassionato fin da quando ho conosciuto la sua storia. Questo è difatti uno dei motivi per cui le sue gesta sono state raccontate in uno dei nostri primissimi documentari del format imperium (trovate il video qui, premettendo che l’audio del suddetto è abbastanza acerbo, siccome è stato, come ho appena detto, uno dei nostri primi lavori. Ma vi assicuro che con il passare del tempo il nostro lavoro di montaggio si è evoluto), traendo ogni possibile informazione dal libro “Carlo Fecia di Cossato: l’uomo, Il mito, il marinaio”, di Achille Rastelli.
Nonostante l’aver già parlato di lui, fa sempre bene a mio avviso riportare in vita, anche in formato scritto, ciò che è stato quest’uomo e quello che ha fatto in nome della regia marina, del re e dell’Italia. Carlo nacque a Roma il 25 settembre 1908 da un’importante famiglia nobile di origini biellesi, casata che sempre si legò fedelmente alla famiglia Savoia fin dai tempi della fondazione di quest’ultima, avvenuta nel 1003 ad opera di Umberto Biancamano. Fin dalla tenera età si dimostrò un vivace ragazzo molto legato alla famiglia, a tratti introverso ma allo stesso tempo energico e coraggioso,sviluppando così il carattere che lo plasmerà in età adulta.
Da buon figlio di ufficiali, decide ben presto di entrare in marina e dimostra fin da subito grandi capacità, incominciando ad ottenere esperienza in oriente (dove si dice si sia innamorato di una ragazza cinese, venendo però costretto dai suoi superiori a lasciar perdere per non intaccare il nome della sua famiglia), nella guerra civile spagnola e nella guerra d’Etiopia. Posto come ufficiale su alcune navi della regia marina, si compresero maggiormente le sue capacità nel contesto sommergibilistico, ottenendo la sua prima esperienza in merito quando s’imbarcò sul Bausan intorno al 1928. Uno dei motivi maggiori che accentuano tale preferenza fu anche la sua predisposizione alla vita cameratesca all’interno dei sommergibili, più umana e fraterna rispetto a quella ben più autoritaria all’interno delle navi da battaglia. Ma fu con l’entrata dell’Italia in guerra al fianco della Germania che poté iniziare a dimostrare le sue competenze belliche.
Betasom
Con la conquista della Francia da parte delle truppe tedesche si avviarono fin da subito le creazioni di porti sommergibilisti sulle coste occidentali francesi, in modo tale da inviare i propri uboot a caccia di mercantili nemici in tutto l’atlantico. Supermarina riuscì a convincere l’ammiragliato tedesco a concedere ai sommergibi italiani un porto amico sulla costa francese per aiutare l’alleato nella caccia, ponendo come punto di riferimento il porto di Bordeaux che diverrà famoso nella storia come Betasom. Ed è fu così che si presentarono alla chiamata abili comandanti che passeranno alla storia della nostra marina, come Salvatore Todaro, Angelo Parona e lo Stesso Carlo.
Al suo arrivo Carlo, anche se per la prima missione sarà nominato ufficiale in seconda al servizio del capitano Vittorio Raccanelli, poté infine legare la sua anima marinaresca con quel mezzo che sempre avrebbe tenuto nel suo cuore fino al suo ultimo respiro; il sommergibile Enrico Tazzoli.
Dopo la breve parentesi con Raccanelli, alla seconda missione Carlo divenne infine capitano del sommergibile e poté dimostrare al meglio la sua grande capacità di comando e le sue ciece convinzioni. Se gli uboot tedeschi cacciavano in branco e vantavano apparecchiature moderne per l’epoca, i sommergibili italiani si vedevano spesso costretti a rimanere in attesa della preda, sia per l’equipaggiamento non alla pari di quello tedesco, sia per l’ordine di supermarina a non sprecare le già precarie risorse. Ma a Carlo tutto questo non interessava e non esitò un solo istante ad avvinghiarsi alle prede per affondare più navi possibili, ottenendo vittorie che lo portarono ad essere nonostante tutto criticato dall’alto comando per l’eccessivo utilizzo di siluri e munizioni.
Le critiche però non lo fermarono ad ottenere quei grandi risultati che si assicurò sulle coste africane, nella zona caraibica e non solo, portandolo ad conquistare svariate medaglie al valor militare e persino tre croci di ferro tedesche, dimostrazione di quanto la sua caparbietà riuscì a colpire l’alleato. Esiste persino la storia, forse leggendaria, di quando Carlo scoprì il sarcasmo degli americani sul fatto che i sommergibili italiani non avrebbero mai potuto raggiungere le loro coste. In tutta risposta si diresse a pochi chilometri dalle spiagge USA, silurò un mercantile nemico e appena i sopravvissuti si salvarono sulle scialuppe di salvataggio lui uscì dal boccaporto e sventolò una tricolore, urlando di andare a dire che gli italiani potevano arrivare eccome in quelle zone.
La sua dedizione era tale da portarlo di vedetta per giorni senza dormire, cosa che in combutta con il tabacco ed il caffè lo portò spesso ad uno stato di salute precario. Ma ciò non gli importava; si preoccupava del suo equipaggio, non mollava finché poteva il nemico e quando affonda a si assicurava sempre che i sopravvissuti potessero raggiungere coste amiche con vettovagliamenti sufficienti ed in totale sicurezza. Partecipò persino al famoso soccorso dell’Atlantis, nave corsara tedesca che successivamente al suo affondamento vennero inviati più uboot germanici e sommergibili italiani possibili per soccorrere l’equipaggio in estrema difficoltà. Tra di essi non esitò a rispondere nemmeno il Tazzoli di Carlo, cosa che alimentò ulteriormente le sue grandi gesta
La sua carriera nel contesto dei sommergibili viene interrotta nel 1943 quando verrà rimandato in Italia al comando della torpediniera Aliseo. Ma nonostante ciò riuscì anche in questo caso a dimostrare la sua ultima, grande forza di coraggio ed il suo ardimento. Con la firma dell’armistizio con gli alleati, avvenuta l’otto settembre 1943, le truppe tedesche risposero violentemente contro il vecchio alleato che ora li stava tradendo. I tedeschi dislocati in Corsica non esitarono a conquistare le postazioni italiane presenti sull’isola, con la problematica però di ritrovarsi in estrema difficoltà appena il dislocamento italiano rispose con la violenza. Le truppe germaniche, vistesi in estrema difficoltà, furono dopo qualche ora costrette a mollare la presa e ad allontanarsi dalla costa con le loro navi. Quando d’un tratto si videro di fronte una torpediniera italiana che non esitava ad avvicinarsi sempre più. La Eliseo di Carlo, in quel periodo di pattuglia in quelle acque, rispose fedelmente all’ordine del re di cambiare fronte e, dopo aver simbolicamente buttato in mare le croci di ferro conquistate nell’Atlantico, ordinò di aprire il fuoco. La piccola nave affrontò ben undici imbarcazioni avversarie e con estremo coraggio riuscì ad affondare tre motozattere e costringerne due all’incagliamento, concludendo la prima vera reazione italiana all’ex alleato e conquistandosi l’onore di ottenere la medaglia d’oro al valor militare. Ma dopo tale evento, solo l’oblio.
Sempre fedele agli ordini della corona, decise di unirsi con il resto della flotta che si stava dirigendo a sud per consegnarsi agli anglo americani. Tenuti in stato di fermo a Malta, qui Carlo incominciò però ad avere i primi dubbi sugli ordini ottenuti, iniziando un declino sempre più oscuro. Trasferiti a Taranto e ottenuto l’ordine di difendere le imbarcazioni che poco tempo prima erano nemiche, la flotta ivi presente scatenò una ribellione filo-monarchica per protestare contro la così facile cessione della flotta agli alleati. Ad una riunione ufficiali Carlo si pose a difesa degli uomini in protesta, pretendendo più dettagli sui veri obbiettivi di Supermarina e richiedendo ordini dal re. Ma la sua audacia fu l’unica ad esporsi e tutti gli altri colleghi non lo seguirono, portandolo agli arresti per ordine dell’ammiragliato. L’alto comando però dovette ben presto liberarlo poiché i marinai in ribellione sulle navi minacciarono sempre più i loro superiori se non lo avessero rilasciato il caparbio ufficiale, trasferendolo però a Napoli per impedirgli di aizzare nuovamente gli uomini, ultimi suoi fedeli sostenitori.
Giunto in una Napoli “liberata”, dove la mafia aveva requisito il grano per venderlo agli americani e dove gli alleati in libera uscita vagavano ubriachi tra le strade della città, Carlo venne immediatamente isolato dai salotti degli ufficiali di marina poiché si era permesso di protestare contro un nuovo sistema che aveva calpestato gli ideali di patria, onore e corona che sempre lo avevano caratterizzato. I suoi sacrifici venivano dimenticati, l’onore della regia marina veniva intaccato dallo stesso alto comando che lo aveva lasciato a marcire per convenienza. Fu così che Carlo, trovando ben poche persone con cui trovare conforto, decise la notte del 27 agosto 1944 di scrivere una struggente lettera alla madre in cui gli chiedeva perdono per quello che avrebbe fatto, dichiarando quanto avrebbe preferito ritrovarsi sul fondo del mare con il suo Tazzoli (ricordiamo che l’Enrico Tazzoli affondò intorno al 16 maggio 1943 durante una missione di rifornimento verso il Giappone). Conclusa quella lettera prese una pistola e si sparò in bocca, ponendo fine alla vita di un impavido marinaio che per l’Italia aveva dato tutto. Ma in questo caso bisogna porsi una domanda; Carlo Fecia di Cossato morì per mero suicidio o venne assassinato da un’Italia che per cancellare il periodo fascista era persino disposta a cancellare le gesta di uomini coraggiosi, di patrioti, che combatterono per la nazione ben lontani da un’ideologia fascista?
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