“Un freddo ed un gelo terribile accompagnavano il procedere della muta attraverso dune di ghiaccio, mentre il vento ululava il suo disprezzo nei confronti di chi osava sfidare l’inverno e lo scorrere delle ore si faceva via via sempre più illusorio ed allarmante; ciò che quegli intrepidi escursionisti cercavano di compiere era un’impresa che metteva in gioco ogni singola fibra del loro corpo, una scommessa ad altissima posta con in gioco ciò che di più prezioso essi potevano permettersi di puntare: la vita. Le ore passavano ed il deserto di neve e ghiaccio spazzato dai ridondanti venti del nord diveniva sempre più orizzonte indefinito, dove le linee del cielo collidevano e si avviluppavano in un sincretismo che di bianco abbagliava la vista a chiunque tentasse di orientarsi in quell’inferno così placido, eppure così caotico. Il conducente della slitta, trainato dai suoi indomabili Siberian Husky, procedeva senza sosta e senza respiro verso una meta da cui dipendevano le sorti di troppe vite; egli sapeva, così come lo percepivano i suoi cani, che da quella missione sarebbero potuti ritornare solamente come vincitori oppure non tornare affatto, stremati ed infine fissati come statue di ghiaccio alle sabbie di neve, per farsi alberi alla volta dei campi del nord……”
Siamo in Dicembre, mese che ci conduce direttamente all’inverno ricco di Tradizioni e caro ad ogni popolo che abita questa terra; l’aria che si respira in quello che è l’ultimo mese dell’anno è qualcosa di vagamente straniante e magico allo stesso tempo, tanto da infondere un turbinio di sensazioni che avvolgono le nostre giornate così buie, dove la luce si appresta a recuperare il terreno concesso all’oscurità della notte, preparando la riscossa ed il risveglio della natura dopo tanto meritato riposo. Che siate credenti o meno questo è un mese che non lascia indifferenti per via del suo richiamo così netto alle origini ancestrali della natura e dell’uomo stesso, origini che si perdono nel mito e nella memoria collettiva sopita in ogni essere vivente. Per questo motivo ho deciso di scrivere un’omaggio in prosa che celebri l’unicità di questi trentun giorni così diversi, eppure così uguali, un modo alternativo e Vintage di salutare Generale Inverno.
“Buck, dopo tanto girovagare, finalmente aveva trovato il posto che più di ogni altro poteva definirsi casa sua: il bosco. La sua vita all’insegna dell’obbedienza e del caldo giaciglio, accudito e coccolato da adoranti padroncini, era finita tempo prima; con timidezza e poi con indomita tracotanza era riuscito a spodestare ogni altro concorrente al posto più ambito per un cane da slitta: quella di capo-manipolo. Se inizialmente era sopravvissuto a tale cambiamento con pena e stenti, la sua natura più nascosta e le sue radici selvagge avevano alfine preso il sopravvento, destinandolo all’indipendenza da ogni legge che non fosse quella della natura stessa. Ora che non doveva più rimanere fedele al padrone che aveva visto morire, poteva finalmente togliersi ogni remora e votarsi a quella vita che i suoi antenati conducevano fin dalla notte dei tempi, ululando alla luna, circondato dai suoi simili…”
Dicembre ha il potere di far riaffiorare un richiamo insito nello spirito degli esseri viventi, potrei definirlo allegoricamente come un fischio di quelli usati per richiamare i cani, quindi impercettibile all’udito umano, eppure impossibile da ignorare per noi creature “civilizzate”; nonostante la nostra evoluzione ci abbia portato verso un progresso che sempre più allontana l’essere umano dalla natura, in determinati casi, la natura stessa ci richiama alle nostre origini più “selvagge” fancendo si che pur in maniera impercettibile sentiamo stringerci ad essa in maniera viscerale. Per me Dicembre rappresenta proprio uno di quei momenti dove l’uomo potrebbe guardare fuori dalla finestra e accorgersi che quei boschi e quelle montagne che si ritrova a contemplare non sono poi così lontani ed inarrivabili…e allora si accorge da dove è arrivato e dove vorrebbe veramente tornare. Questa dualità esistenziale permane in tutti noi esseri umani, poiché figlia delle nostre arcaiche radici e delle nostre scelte evolutive: Per questo ho scelto di “raccontarvi” l’inverno dell’ultimo mese dell’anno con gli occhi di due animali figli di una specie che ha in parte condiviso la sua evoluzione con noi umani, e che proprio come noi nasconde questo suo dualismo nelle viscere… e nel farlo vi consiglio caldamente di passare le festività approfondendo la loro storia
Nel 1925 una muta di Siberian Husky diviene famosa per aver salvato, trasportando fra il vento ed il gelo dell’inverno in Alaska e per oltre 600 miglia un siero contro la drifterite, che stava flagellando il villaggio di Nome; quei cani seppero far fronte ad una prova che nemmeno i mezzi a locuzione erano riusciti a superare, dimostrando un’eroismo ed uno spirito di sacrificio che ben pochi uomini saprebbero reggere. In realtà solo un cane divenne veramente famoso da guadagnarsi la leggenda e la gloria che da quell’impresa scaturì: il suo nome era Balto. Vuoi perché fù il cane di testa che affrontò le ultime miglia, vuoi per altro, alla fine solo il suo nome divenne simbolo di quell’impresa.
Nel 1995 la Amblimation, con la produzione di Steven Spielberg, trasse da quella leggenda un film d’animazione di pregievole fattura, un tempo trasmesso frequentemente sotto le feste Natalizie. Sebbene la storia del film inizi come un live action con diretti richiami alla storia reale – una nonnina che porta la nipotina a vedere la statua eretta in onore di Balto a Central Park – prosegue come una reinterpretazione degli eventi e si concentra fantasiosamente sulle origini di Balto stesso.
Balto è un meticcio figlio di un cane e di un lupo e proprio per via delle sue origini verrà bistrattato e tenuto alla larga dagli abitanti del piccolo villaggio di Nome. Tuttavia non si darà per vinto cercando in ogni modo di farsi accettare ed integrare dagli altri cani addomesticati e dagli esseri umani, poiché in lui prevale la natura del cane civilizzato, quello che decide di uscire dal bosco per stare fra gli uomini rinunciando alla sua libertà di lupo senza padroni. La necessità di farsi accettare ed addomesticare sarà così forte da farlo partecipare clandestinamente alla corsa per portare il siero anti-difterite al villaggio, per dimostrare a tutti la fedeltà di cui è capace e il sacrificio che arriverebbe a compiere pur di salvare quella specie che fino a poco tempo prima lo ripudiava perché lupo. Balto risponderà a quei sentimenti reconditi che cela nella sua natura e a quell’osservazione che l’oca Boris afferma quando lo vede allontanarsi sconsolato dopo l’ennesima cacciata dal villaggio: “Non è cane, non è lupo, sà soltanto quello che non è” compiendo un’impresa che gli riuscirà soltanto dopo aver compreso ed accettato il suo lato selvaggio, espresso nel miraggio di sua madre, e nella scelta che compirà decidendo di vivere fra gli uomini che decideranno di accoglierlo calorosamente dopo una prova di amore così sconfinata.
Buck è un possente cane figlio di un San Bernardo e di un Pastore Scozzese, allevato fin da cucciolo come il privilegiato fra i cani del giudice Miller, conduce la sua esistenza coccolato ed amato in una lussuosa villa dove può comportarsi come meglio desidera; tuttavia, un giorno, l’aiuto-giardiniere pur di pagare l’ennesima scommessa persa decide di rapirlo e di venderlo ad un commerciante di cani. Buck compie un viaggio che lo porta dall’assolata Santa Clara fino in Canada, dove si ritrova in un’ambiente del tutto inospitale attaccato ad una slitta e con l’unico scopo di condurre i suoi nuovi padroni alla ricerca dell’oro che in molti bramavano nel 1897.
“Il Richiamo della Foresta” è il primo romanzo di Jack London che ci offre il punto di vista di un cane che ha scelto un percorso diametralmente opposto da quello compiuto da Balto.
Se inizialmente Buck rifiuterà di aver perso la sua vita da cane domestico, presto dovrà adattarsi alla crudezza degli avvenimenti imparando – previa la sottomissione cui sarà costretto violentemente dai suoi nuovi padroni – a sopravvivere in un’ambiente del tutto ostile; infatti dopo un inizio all’insegna della rinuncia ad ogni velleità anche nei confronti degli altri cani, tirerà fuori una grinta ed un orgoglio che lo porterà ad essere il leader della muta rispettato dagli altri cani e amato dai padroni. La sua vita continuerà frutto del reiterato sacrificio per guadagnarsi un’altro giorno di più, adempiendo al suo dovere senza opporsi ai comandi e destando ammirazione in chiunque lo veda all’opera. Un giorno qualsiasi, dopo essere finito nelle mani di esploratori incapaci, verrà tratto in salvo da un cercatore che mosso a pietà deciderà di prenderlo con sé: per Buck egli diverrà l’unico essere mai amato. Con il proseguo degli anni però il richiamo della foresta si farà strada in lui, portandolo a rinnegare la sua passata vita e ad abbracciare la sua antica natura arcaica di cane selvaggio e solitario: l’incontro con un lupo risveglierà in lui la volontà di vivere fra la sua specie nella innevate e sterminate steppe canadesi, cosa che dopo aver compiuto fino in fondo il suo dovere nei confronti di chi tanto amava farà.
Due cani e due visioni della vita, scelte che si rifanno alla natura dualista che portano in grembo; visti con gli occhi di adulto “Balto” e “Il richiamo della foresta” pongono interrogativi che ogni uomo si porta dentro fin dalla notte dei tempi: voler vivere secondo natura e abbandonare la “civiltà” cui si è destinati, oppure scegliere di rimanere dove la vita ci ha portati. Scegliere il bosco o la città, come hanno dovuto scegliere Buck e Balto, e qualcosa che ogni essere umano si trova prima o poi a contemplare, specialmente quando si arriva in quel periodo dell’anno dove le forze della natura sono così forti da richiamare l’attenzione solitamente rivolta alla routine giornaliera. Questa scelta affrontata dalla razionalità dell’uomo può anche non essere definitiva e questo è il vantaggio che la nostra specie ha nei confronti di Balto e Buck: poter vivere entrambe le esperienze.
Quindi, anche se accettate di rimane al vostro posto fra le luci della città e le comodità che la vita da esseri umani vi permette, non disperate: quell’anelito di libertà che lasciare la casa per il bosco e le montagne può portarvi a provare, potete viverlo ugualmente anche se decidete di non abbandonare la “civiltà”, in fondo basta poco: vivete queste feste non come semplici giornate da passare comprando cianfrusaglie, bensì fatelo dedicandovi del tempo per respirare, dedicando del tempo a chi vi è caro, camminando e passeggiando in luoghi dove la natura vi pare così vivida da poterle parlare, lasciate fuori dalla vostra vita il caos della nostra civile esistenza, accogliendo con calore il significato profondo di questo periodo festivo.
Se potete prendete la via del bosco, e magari immergetevi nella natura protetti dalle sicure pareti di uno chalet riscaldato dal fuoco dei vostri cuori, mentre vi guardate il film o vi leggete il libro…. E chissà, magari sentirete in lontananza un ululato e tendendo un orecchio cercherete di capire chi fra Balto e Buck vi starà chiamando…
Che le vostre scelte possano illuminare il percorso da voi intrapreso sorreggendone gli ideali, come la luce in alto nei cieli dopo il 21 dicembre rischiara le notti polari.
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