L’ansia
L’ansia

L’ansia

M’è venuta l’ansia!
Mi sono accorto di averla qualche giorno fa.
Una mattina mi son svegliato e me la sono trovata addosso come fosse un’invasore.
Qualcuno che mi conosce potrebbe pensare che io abbia l’ansia da prestazione, ma, nonostante l’età, non è così.
Veramente non so neppure se è vera e propria ansia, visto che non ne ho mai sofferto.
E’ come se tutto ad un tratto vi ritrovaste a vivere in un mondo che non è il vostro, circondato da gente che non conoscete.
Si, credo proprio che sia ansia.



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Vedo gente con l’alzheimer che poggia la sua mano tremante su bottoni rossi che comandano testate nucleari; C’è chi chiede più armi per avere la pace; sento chi inneggiava al blocco navale contro l’immigrazione chiedere più immigrazione, e ci sono anche persone preoccupate, che urlano in tivù perché d’estate fa caldo e a volte grandina.
Ditemi la verità: la mia è vera ansia?
Vi faccio un esempio concreto: sono juventino, da sempre. Appena ne ha avuto la possibilità, mio padre mi regalò un bellissimo completino col numero 11 di Roberto Bettega. Il suo idolo d’allora. Il mio primo amore in bianconero fu invece Le Roi, Michel Platini. Ho una stella intestata col mio nome e quello di mia moglie proprio all’esterno della tribuna a lui dedicata nel nuovo Jstadium.
Anni fa, quando avevo un lavoro continuativo, appena potevo correvo allo stadio. Ho visto l’inaugurazione di quello nuovo nel 2011, poi nel 2015, perso il lavoro, più nulla.
L’ultima volta che ho avuto in mano un biglietto per la partita è stato un Juve-Roma di qualche anno fa (quella di Rudi Garcia che suonava il violino a bordo campo, per intenderci), e che ho ceduto a mio padre, all’epoca già malato dello stesso male che se lo sarebbe portato via qualche anno dopo, e che stava perdendo la vista.
Ebbene si: oltre a essere un complottista sono anche un irrecuperabile “Gobbo di merda”, orgogliosamente gobbo e tutto il resto. 
Ma ho anche dei difetti.
Fra questi, non riesco ad esimermi dal ragionare e dall’evidenziare le ingiustizie e ipocrisie che incontro durante il mio peregrinare in questa vita.
E questo anche nel calcio.
E quindi cercherò di rendere questo mio scritto quanto più asettico e distante possibile dall’essere lo scritto di un tifoso.


Già mi immagino che molti che leggeranno, storceranno il naso pensando che ci siano altri argomenti molto più importanti cui dedicare il tempo, e io, da 58enne disoccupato cronico, non posso che dar loro ragione. Allo stesso tempo, però, chiedo anche a costoro di abbozzare ancora un momento.
Vedrete che i problemi del nostro calcio sono completamente sovrapponibili a quelli della nostra società.
Si tratta solo di avere un pò di fede.
Ed è proprio con questo argomento che vorrei iniziare il mio discorso. Cos’è la fede?
Insieme alla “speranza” e alla “carità”, la “fede” è una delle virtù teologali. 
Gli antichi greci racchiudevano la summa delle virtù umane nella Areté, che includeva forza d’animo, vigore morale e prestanza fisica.
Per gli antichi romani la Virtù era la disposizione dell’animo rivolta al bene, al compimento ottimale di azioni e modi di essere.
Per il cristianesimo, chi persegue le virtù persegue il bene, in modo consapevole e determinato dalla propria volontà.
Quindi la Fede, che riguarda la conoscenza di Dio e il credere in Lui, e che porta alla conoscenza di Dio tramite la rivelazione, è una virtù religiosa nel senso più profondo del termine.
Chi mi conosce sa che ho scritto un libro nel quale racconto le mie disavventure in ordine alla mia situazione lavorativa e nel quale narro anche il mio rapporto, nuovo, con la fede e la religione.
Attraverso queste molteplici traversie sono riuscito a distinguere, e in maniera netta, cosa è fede da cosa è religione. 
E questo mi è utile anche nel trattare diversi argomenti.
Adesso vi chiederete: cosa centra la “fede” con il calcio.
E’ presto detto.
Negli ultimi anni abbiamo visto la scienza diventare materia di fede, un sistema di conoscenze ottenute attraverso un’attività di ricerca trasformarsi in una religione tout court. Bisognava farlo e basta. Tanto più che oggi non credere nella scienza è considerata “blasfemia” con tanto di messa all’indice e persecuzione annessa.
Abbiamo anche chi si ammala di nozioni scientifiche: la cosiddetta “eco-ansia” è una di queste nuove malattie.
Esiste quindi, oltre alla fede nel senso religioso del termine, anche una “fede politica” e una “fede calcistica”, con tanto di martiri da ricordare ed onorare. Ognuno ha i suoi: dal Grande Torino a Maradona e Vialli, dai caduti dell’Heysel al compianto Davide Astori.
Ma in tutti questi casi, è giusto parlare di fede?
E questo cosa comporta?


Se la fede “in un Dio che non si vede” può avere un senso, e quel “credo nella scienza” è, invece, un controsenso in termini, la fede calcistica o politica comporta un annebbiamento della ragione.
Credere che undici multimilionari in pantaloncini e calzettoni scendano in campo per onorare la maglia e la storia di questa o quella società, non è fede, è pazzia.
La fede calcistica è un amore cieco verso i propri colori societari, che si trasforma in odio verso il nemico, non più avversario, in un gioco in cui tutto è consentito, anche la violenza, per arrivare alla altrui soppressione e sconfitta.
Tutto questo, unito ai milioni che circolano, non è più sport.
E la secolare storia di questo sport è lì ad attestarla.
E’ vero, ci sono stati casi, più unici che rari, pronti a confutare quanto sto dicendo. Ma le eccezioni, di solito, non fanno altro che confermare la regola.
Senza questa fede, oggi, nel caso specifico, non si starebbe a parlare della “Juve che ha sempre rubato ed è giusto che paghi” come nei peggiori bar di Caracas, ma di un “sistema calcio italiano” che sta morendo, suicidatosi con le proprie mani.
Dal famoso “scandalo scommesse” ad oggi è stato un susseguirsi di scandali portati alla luce non per fare pulizia, ma per infangare la “fede” altrui.
Ma come dice un famoso detto popolare, nel mondo del calcio “il più pulito c’ha la rogna!”
E quando parlo di mondo del calcio, includo in primis le testate giornalistiche e televisive che, come in altre occasioni, non fungono da calmiere come dovrebbero fare organi imparziali, ma fomentano l’odio di una parte verso l’altra, con le loro indiscrezioni in prima pagina, con le sentenze pubblicate prima del loro deposito, con le intercettazioni private rese pubbliche più per sputtanare che per mettere luce.

E su questo argomento vengono a darmi ragione i dati sulle vendite in caduta libera dei quotidiani, tutti, compresi quelli sportivi. 
Senza i finanziamenti statali, tutte le testate giornalistiche sarebbero in bancarotta. Già questo punto sottolinea un sistema calcio drogato fin dalle radici, da quella informazione che dovrebbe informare e invece fa propaganda, nel calcio come nella politica.
E i cittadini non seguono più quello che nel nostro Paese è stato sempre lo sport più amato come non seguono più la politica con i suoi nani e ballerine. 
Quando si hanno tre quotidiani sportivi e ad ognuno di essi si può benissimo affibbiare una collocazione ben precisa (quello di Torino è della famiglia, quello rosa delle milanesi, l’ultimo delle romane e del sud), è già tutto detto.
E questo vale, con maggior ragione, per le tivù che offrono le partite a pagamento.
Finito il tempo di Novantesimo minuto e delle telecronache asettiche dei Martellini e Pizzul, oggi abbiamo i commentatori urlatori o meno a seconda delle squadre in campo e del collega “commentatore tecnico” in cabina. Perché un rigore dubbio “Lo voglio rivedere!” è diverso da un rigore dubbio “ma l’errore ci può stare”, oppure il fuorigioco non visto “di un tallone” può falsare la partita, ma quello non visto al VAR “perché non avevano a disposizione tutte le telecamere” ci dice che bisogna migliorare.
Se non ci fosse questa maledetta fede calcistica, oggi staremmo a ragionare su questo, sul marcio su cui poggia tutto il sistema. E i tifosi tutti, che sono la principale fonte di approvvigionamento del sistema, e la base su cui tutto si poggia, senza di essi nessuno sport, oggi, avrebbe ragione di esistere, chiederebbero giustizia, non sommarie esecuzioni.
Perché di questo si tratta.


Per la società Juventus non si chiede la punizione, ma si anela alla radiazione.
Una squadra che proprio quest’anno festeggia il 120° anniversario di storia, la più blasonata, la più ricca fra le società di calcio italiane, ma anche la più maledetta e inquisita fra tutte.
Solo 17 anni fa, era il 2006, fu inquisita, accusata di aver sostenuto un sistema di corruzione, punita con la retrocessione e privata degli ultimi due scudetti vinti.
Quello scandalo è storicamente ricordato con il termine di “Calciopoli” per analogia con “Tangentopoli”, noto scandalo che coinvolse la politica. 
In entrambi i casi si può dire che furono proprio i media a fomentare il “sentimento popolare” sfociato in un caso nelle monetine lanciate addosso ad un noto esponente politico di allora, e nell’altro, nella retrocessione ed espropriazione.
Salvo poi constatare, a bocce ferme, che ambedue gli scandali erano ben più ampi e che i soggetti coinvolti erano diversi e con responsabilità maggiori di quelli che erano stati puniti.
Ma ormai i capri espiatori erano stati sacrificati, e tutto il resto venne posto sotto il tappeto.
Questo cosa ha portato?
Non certo a migliorare la situazione, anzi.
Sia il teatrino politico che quello calcistico hanno perso l’autorità che allora veniva loro riconosciuta. 
Lasciando un attimo da parte la politica, di cui è sotto gli occhi di tutti l’infimo livello cui è arrivata, la Serie A italiana, che era il campionato più bello del mondo, con i migliori calciatori a fare a gare per venire a contendersi lo scudetto, è costretta a negoziare pochi spiccioli dai diritti televisivi. Oggi anche i giovani aspiranti campioni cercano gloria all’estero. La meta cui tutti aspirano è la Premier League inglese. 
Ma molti migrano anche verso i più appetitosi contratti del nascente campionato arabo.
C’è nel mondo chi ha capito che il calcio è ormai, a tutti gli effetti, una industria, che può trainare anche altri settori come quello turistico. Interi stati investono per avere campioni che attirino diritti televisivi e investimenti. Finanziano strutture nuove e all’avanguardia, e progettano tornei competitivi con inviti dedicati alle squadre più blasonate del mondo.
Come reagiscono le istituzioni del nostro calcio nazionale a tutto questo?
Riformano la Supercoppa.
La competizione che fino all’anno scorso vedeva affrontarsi la vincente del campionato con la vincente della Coppa Italia, da quest’anno, copiando dalla Spagna, vedrà un torneo a quattro tra le prime due classificate del campionato e le due finaliste della Coppa Italia.
Oltre al cambio di format, c’è stata la firma sull’accordo con l’Arabia Saudita che ospiterà la Supercoppa Italiana, quattro finali dei prossimi 6 campionati, riservandosi due dinieghi. Il primo diniego pare sia proprio l’edizione attuale, quella che si sarebbe dovuta giocare a Gennaio tra Napoli, Lazio, Inter e Fiorentina. Sembra che gli arabi non gradiscano molto che tra le quattro contendenti ve ne sia soltanto una tra le big nostrane
Tornando alla Premier League.
Qualcuno crede che in premier non esistano problemi, non ci siano screzi fra le società? E allora, dato che le regole sono le stesse che da noi, cosa rende quel sistema più appetibile del nostro? 
Io amo il calcio come sport, e in questi ultimi anni ho seguito più la Premier che la Serie A, e devo dire che le squadre inglesi non giocano meglio delle nostre. Però giocano più serene, e lo si capisce dalle interviste e dai commenti dei giornalisti e telecronisti. 
Ai tempi degli hooligans, che imperversavano nel mondo con violenze di ogni tipo, non fu incriminata una squadra che li sosteneva, ma fu fatta giustizia, impedendo che tutte le squadre avessero rapporti con loro.
Non misero nulla sotto il tappeto, ma operarono una pulizia generale.
Oggi, un allenatore rinomato come Jürgen Klopp, tra i più pagati al mondo, che allena una squadra storica come il Liverpool, tra le più rinomate al mondo, può permettersi di perdere (perché nello sport si perde e si vince) tre partite di fila senza essere messo in croce dalla stampa e senza la paura di ritrovarsi la propria abitazione sotto assedio da centinaia di tifosi inferociti.

Invece noi abbiamo tifoserie che si accoltellano negli autogrill dell’autostrada, e stiamo parlando di tifoserie di squadre che neppure si affrontavano in quella giornata. Ma la notizia di quei quattro “Daspo” affibbiati non viene data in prima pagina. Il risalto viene dato al tal giocatore che non rinnoverà il contratto e viene subito additato come traditore. Perché da noi “il sentimento popolare” alimenta la narrazione che a sua volta alimenta l’odio che scaturisce dalla “fede calcistica”.
Anche in premier c’é l’attaccamento ai colori della maglia e alla storia della società del cuore, e il “Never walk alone” cantato ad ogni occasione mette i brividi, ma è il corollario di uno spettacolo, non il pretesto per scatenare una battaglia. La Serie A è intesa da tutti come una guerra da cui scaturirà un vincitore dopo 38 battaglie.
Da noi è normale esultare perché la “nemica” ha perso la partita.
In Spagna la cosa più bella è vincere contro il Real, in Francia contro il PSG, in Germania contro il Bayern. Per le squadre che non ambiscono a vincere campionati è una cosa normale. Un attestato di stima.
In Italia, invece, non basta vincere, si vuole la morte dell’avversario. 
Non ci si rende conto che così il calcio, in Italia, è destinato a un eterno basso profilo, se non all’estinzione.

Poi ci si stupisce se le nuove generazioni seguono sempre meno il calcio, comprando meno giornali, facendo sempre meno abbonamenti, seguendo sempre meno i palinsesti tv.
Il 2006 con calciopoli non ha insegnato nulla a nessuno.
Ma oggi è il 2023, e viviamo un periodo che, nel bene e nel male, rende tutti connessi, a dispetto dell’informazione che vorrebbe essere la sola fonte di verità. 
Ieri i giornali si leggevano e poi ci si incartava il pesce; oggi tutto sul web rimane inciso. Così tutti possono leggere che, a proposito delle stesse azioni addebitate ai dirigenti juventini: quindi leggi che l’amministratore delegato ha parlato della doppia operazione che ha visto il passaggio di due giovani calciatori dal club giallorosso a quello neroverde perché servivano ed è giusto darsi una mano…
Oppure titoli a otto colonne con: “Inter, Ausilio è il mago delle plusvalenze”, e poi “L’Inter, anche quest’anno, è riuscita a tagliare il traguardo delle plusvalenze richieste per sistemare il bilancio senza cedere nessun big della propria rosa…../…è riuscito a mettere a bilancio addirittura 134 milioni di plusvalenze negli ultimi anni solo con cessioni di giovani del vivaio”. Va ricordato che alla Juve sono contestati circa 60 milioni di plusvalenze, il 3,6% dei ricavi.
Non sto dicendo che i dirigenti juventini siano più belli di altri, ma che, se hanno commesso errori devono essere puniti tanto quanto gli altri.
Che dire allora del caso Osimhen, lo splendido centravanti del SS Napoli Calcio, che sta portato la sua squadra alla conquista di un meritato scudetto. E’ stato pagato anche con il cartellino di tre giocatori girati al Lille, società di provenienza di Osimhen, che mai hanno visto  neppure il treno per la Francia, e oggi giocano, da svincolati, nelle nostre serie minori.
Oppure di società cancellate per i buchi in bilancio, mentre altre con quei buchi, e di maggiori dimensioni, ci convivono da anni.


Quella applicata fino ad oggi non è giustizia, e finché non ci sarà giustizia uguale per tutti, non potrà mai esserci una sana e vera competizione sportiva.
Questo dovrebbero chiedere tutti i tifosi amanti del calcio invece dei soliti sfottò lanciati contro il nemico di turno
Perché stupirsi, allora, se i tifosi della Juve, dopo aver sopportato, anche economicamente, che fosse fomentato il “sentimento popolare” avverso ai loro colori, una volta capito che non ci sono speranze di raggiungere gli obiettivi prefissati in quanto esclusa da tutte le competizioni europee, decidono di recedere dai propri contratti con le Pay tv?
Perché continuare a seguire una SerieA che non ha nulla più da offrire come aspettativa per la mia squadra. Devo pagare per vedere che fanno il Sassuolo o l’Empoli? Con tutto il rispetto per queste squadre, credo sia lo stesso ragionamento che faranno i telespettatori esteri.
E’ noto a tutti che l’Italia calcistica e divisa in due: metà juventina e l’altra metà anti juventina. La Juventus con i sui milioni di tifosi, ha praticamente un bacino di utenza doppio rispetto alla tifoseria unita delle due milanesi.
Affossare la Juventus vuol dire affossare tutto il sistema calcio italiano. Meno interesse, meno potere di contrattazione, meno soldi da dividere per chi resta.
In un mondo in cui si forniscono armi per favorire la pace, facendo le debite proporzioni, sembra che verso la Juventus venga adottata la stessa strategia sanzionatoria che la UE adotta verso la Russia. I costi delle sanzioni ricadono sugli stessi che le hanno emanate e non su chi doveva subirle.

La Juve certamente subirà ripercussioni economiche notevoli dalle punizioni inflitte, ma mai quanto subiranno tutte le altre società che resteranno, mute, in questo sistema ingiusto e caotico.
A chi sui social grida “GODO” per la penalizzazione inflitta e per quelle che verranno, dico solo che godrà poco o nulla quando i suoi “idoli” chiederanno di essere ceduti a squadre appartenenti a campionati di maggior livello, oppure quando vincere lo scudetto non darà più la stessa soddisfazione di battere la Juve.
Infine:
Chi vuole uccidere la Juve? A questa domanda può rispondere direttamente la proprietà, che è la stessa del 2006.



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