Qualche giorno fa mentre me ne stavo a distribuire vivande alcoliche, un tizio si avvicina al tavolinetto poco distante da me e con fare sicuro abbranca un libro adagiato tra i rimasugli della stampa Italiana (Il corriere, la gazza, etc), se lo rigira in mano, l’osserva incuriosito e ne legge la quarta di copertina. Al che cominciai ad osservarlo più attentamente e nonostante la mole abnorme della sua testa suggerisse ben altro, almeno a livello fisiognomico, disperavo proprio se ne potesse uscire con un qualche commento utile ad avviare una discussione intelligente. Aspettai dunque che finisse di destreggiarsi con “Morte a credito” di Louis-Ferdinand Céline, posasse il tomo e desse prova che il mio istinto cicaleggia quasi mai. Quello si avvicina cercando il mio sguardo, che io di rimando gli nego e aspetto cosa potrà mai dire un tizio acculturato, sopra i settanta, con un certo grado di istruzione che tende ad esibire con pose da intellettualoide e giustamente serro la mandibola perché convenzioni sociali a parte ancora non si può campare insultando il prossimo, e me ne devo fare una ragione. Ecco che parte il minchione:
– Ti piace molto quel libro eh?
– Mmhh, mhh
– Dico, quello scrittore ti piace?
– Uh
– E così era un antisemita…
Al ché, ovviamente ben compreso cosa intendesse nel suo sragionare avrei dovuto spiegargli che l’evidente lacuna su chi fosse Celine e cosa avesse scritto, lacuna da lui colmata leggendo la quarta di copertina dove si risaltavano le opinioni di Celine, era un evidente mancanza figlia della nostra società, autoreferenziale ed incapace di valutare la bontà di un opera o di un artista se quest’ultimo riflette convinzioni ed idee non accettate dalla cultura ufficiale. Ma la mandibola serrata provocava un eccesso di salivazione che avrebbe empito di bava il minchione qualora mi fossi perso in una discussione intelligente che peraltro non richiedeva,e non sia mai che io parli con la bocca piena…quindi mi calmo, deglutisco a lungo, mi prendo del tempo, il tizio è in pensione, e alla fine rispondo semplicemente:
– A quei tempi, anche prima, anche oggi invero in molti sono antisemiti.
Il tizio rimane spaesato, forse credeva mi arrampicassi sugli specchi cercando di giustificare il mio feticcio per un antisemita o rispondessi urlando Sig Heil mostrando la mia svastica sottocute. Non saprei, colpa mia d’altronde a lasciare un libro simile alla portata della gente, sicuro che mai nessuno avrebbe sollevato non dico questioni, ma il libro stesso. Comunque la mia strategia è risultata vincente, ho evitato discussioni incomprensibili senza dovermi abbonare alla mensa dei poveri.
La vicenda fà riflettere sul tipico comportamento dell’intellettuale da popolino, che prima finge di sapere ciò di cui sta parlando e poi se ne viene fuori con opinioni insensate da ignorante in materia. Come se uno scrittore come Celine lo possa apprezzare a sua volta soltanto un antisemita, o come le opinioni personali dello scrittore siano metro di vidimazione per le sue opere. Questo gretto moralismo utilizzato dai laici fa tanto più ridere che gli anatemi della Chiesa ai tempi dei Comuni.
L’antisemitismo e non vado oltre perché è assurdo dare spiegazioni in merito, è una forma di pregiudizio che accompagna una prole immensa di individui da secoli a questa parte, è un opinione che in quanto tale, a meno che non si tramuti in azione concreta e persecutoria, non può essere estripata dalle convinzioni della gente. E’un pregiudizio come tanti, un opinione diffusa e a lungo accettata in società fino al secondo dopoguerra, per ovvi motivi, e che continua tutt’ora fuori dall’Europa o in clandestinità anche all’interno di essa. Questo dato di fatto giustifica questo pregiudizio? No di certo, ma possiamo fingere che una tale convinzione non esista più oppure possiamo utilizzarlo come metro di giudizio per valutare la bontà o la malvagità di un uomo, la validità o meno di ciò che compone? No di certo. Questo è esattamente il manicheismo della cultura moderna, quella brodaglia che ha prodotto movimenti come la cancel culture che permette soltanto entro certi limiti ufficialmente accettati di esprimere opinioni e fare arte in società definite inclusive e democratiche.
Se la cultura ufficialmente accettata riceve fondi e danari per supportare tali idee, e quindi egoisticamente si può comprendere tale posizione, il tizio mediamente acculturato che con le sue opinioni passa il tempo a sorseggiare bianchini non riceve siffatti favori, ma è il tizio comune che ogni anno invade il Salone del libro di Torino, ad esempio.
Il salone del libro è quella manifestazione di onanismo etero-indotto in un paese di pochi lettori, dove una manciata di grosse case editrici fagocita il mercato dell’editoria con titoli mediamente scadenti, sfruttando il nome mediatico del momento per sporcare intere pagine e abbindolare giovincelli su TikTok con pubblicità mirate, tanto per vendere qualche libro in più in una catena di montaggio che bada a perseguire la quantità a dispetto della qualità. Pensate a quanti libri escono giornalmente, quante persone leggono e poi valutate questi due dati con l’affluenza al salone del libro: abbiamo un evento mondano, mediatico, dove i libri e gli scrittori sono solo i convitati di pietra della questione. E’ l’equivalente di Sanremo per la canzone Italiana, soltanto che la soglia di attenzione richiesta è superiore ai tre minuti di esibizione.
Ogni anno abbiamo una qualche polemica grazie al quale si riempiono i figli bastardi del libro, i giornali, proteste accorate da parte dei figli del minchione di cui parlavo all’inizio dello scritto che sbertucciano contro un determinato scrittore… quale ottima pubblicità per l’evento?
La cultura in Italia è appannaggio di una certa ideologia fin dal dopoguerra, soltanto la nascita del berlusconismo ha messo in pericolo tale egemonia (è non c’è da andarne fieri) tuttavia nei luoghi che più contano vediamo tutt’oggi una schiera di prezzolati che impongono un pensiero dipinto come progressista, inclusivo, intellettivo, socialmente accettabili cui qualsiasi persona mediamente acculturata deve sottostare pena l’infamante etichetta di ignorante “fascistello”. Sebbene tutto questo sia sotto gli occhi di tutti ancora si assiste alla massiccia adesione di personaggi contro questo tipo di narrazione che tuttavia, pur di vedersi pubblicati, pubblicizzati, accettano la gogna mediatica. Si accetta che per vendere un libro su Celine bisogna accennare al suo antisemitismo. Per fornire la possibilità a La Stampa di Torino di titolare contro il “putiniano” De Benoist, uno dei massimi esponenti della cultura Europea oggigiorno, lo si invita per puntare il dito contro un intellettuale che semplicemente si pone domande come se fosse un’emanazione diretta di Putin. Abbiamo già visto lo squallido comportamento degli organizzatori del Salone ai tempi della cacciata di Altaforte, lo rivediamo quest’anno contro il Ministro che presenziava il suo libro e ancora ci abbandoniamo a polemiche che servono soltanto ad ingrassare il culo alla solita cricca che organizza tali eventi.
Invece di cercare alternative, e i mezzi oggigiorno ci sono senza svenarsi a livello economico, coloro che rappresentano una visione diversa da quella ufficialmente accettata continuano ad accettare un confronto con gente che cerca soltanto lo scontro, salvo poi lamentarsi e piagnucolare di essere stati vittime di un attacco squadrista. Dopo i fatti di Altaforte qualunque editore avrebbe dovuto rifiutare una partecipazione a quell’orgia onanistica che è il Salone del libro, non per solidarietà, non per fuggire, ma per ribadire che creare cultura e arte non può essere soggetto ai permessi e ai dinieghi di tali manifestazioni. Invece di lamentarsi dovrebbero impegnarsi a creare nuovi spazi e a sfuttare quelli già esistenti quali Libropolis, ad esempio, senza continuare una narrazione che li vedrà per sempre perdenti in balia di insulti e improperi da parte della cultura ufficiale.
Basta piagnistei e magari fatevi una capatina nelle librerie almeno fino a quando ne rimarrà in piedi qualcuna, perché sono l’ultimo baluardo che permette ancora di diversificare e proporre alternative ai libri più venduti del momento, insieme ai piccoli editori, che forse vivono ancora di sogni ma di certo non si piegano alle sole leggi di mercato.
Così, giusto per non diventare come il minchione di inizio pagina
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