Quando si parla di romanzi d’avventura italiani per ragazzi, a chiunque verrà in mente l’intramontabile Sandokan, il coraggioso corsaro nero e molti altri personaggi orientaleggianti, intenti a vendicarsi dei torti subiti o a combattere per l’amore della propria fanciulla in pericolo. E tutti questi avventurosi scritti derivano dal grande sognatore e scrittore Emilio Salgari, uomo che si può paragonare tranquillamente a personaggi della letteratura internazionale di fantasia e d’avventura come il ben famoso Jules Verne.
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Ci si dimentica però che dietro a questi leggendari personaggi dei racconti si cela un passato triste e drammatico del nostro Salgari, fatto di suicidi, lavori con gli editori al limite dello schiavismo e perdite affettive impossibili da sostituire. A braccetto con gli eroici personaggi che ha ideato troviamo un uomo dalla grande inventiva e da una moltitudine di sogni, messo però in ginocchio da una vita che non volle mai lasciarlo in pace fino al suo triste, e al tempo stesso romantico, destino.
Emilio Salgari nacque a Verona il 21 agosto 1862 in un’Italia appena unitaria. Fin da piccolo dimostrò una grande passione per i viaggi e per i racconti, cosa che molto probabilmente lo convinse ad entrare nel 1878 nel regio istituto tecnico e nautico Paolo Sarpi di Venezia, abbandonando gli studi però nel 1881 dopo non essere riuscito a raggiungere il suo obbiettivo di carriera, ovvero capitano di marina.
Dopo quella che fu per lui una deludente esperienza iniziò però il suo esordio da giornalista/scrittore, vedendosi pubblicare in quattro puntate sul settimanale la valigia di Milano il suo primo racconto, I selvaggi della Papuasia. Con il proseguire della sua carriera letteraria, cosa che comunque non gli permise quasi mai di ottenere un adeguato compenso, riuscì a lavorare per La nuova arena di Verona (periodo nel quale attuò persino un duello con il cronista Giuseppe Biasioli, della rivista L’Adige. Quest’ultimo si inimicò Salgari per aver contestato la sua convinzione di essere divenuto capitano di marina – cosa che infatti non fu- Ma dopo il duello la vita porterà pochi anni dopo i due a conquistare una forte e sincera amicizia).
Dopo la morte della madre nel 1887 e quella del padre nel 1889 (quest’ultimo suicida poiché convinto di avere un male incurabile. Un gesto che purtroppo capiterà più volte all’interno della famiglia Salgari), Emilio si sposò con l’attrice di teatro Ida Peruzzi, e dopo il concepimento della primogenita Fatima si trasferirono in Piemonte, avvicinandosi alla casa editrice Speriani con cui aveva firmato un contratto. Da Ivrea a Torino Salgari non viaggiò praticamente mai al di fuori dell’Italia, ma la sua mente volava ben più in alto del suo corpo; quando poteva visitava la biblioteca civica centrale per sfogliare e studiare mappe, libri geografici, usi e costumi di terre lontane e altrettanti libri d’avventura, permettendogli quindi di creare una moltitudine di personaggi di ogni dove, Dalla giungla indiana alle praterie del vecchio west, fino ai pericolosi mari caraibici traboccanti di navi corsare. Per confermare quanto fosse un dettagliatissimo viaggiatore della mente, la storica olandese Bianca Maria Gerlich identificò i libri utilizzati dallo stesso Salgari e paragonò i suoi lavori letterari ai reali costumi di quelle terre lontane, arrivando infine alla conclusione di quanto fossero parecchio dettagliati.
Emilio poté vantarsi di un’ottantina opere molto apprezzate in tutta Italia, creando una serie di cicli tutt’ora famosi come I pirati della malesia, il far west, Avventure in india, corsari delle Antille e molti altri. Scrisse perfino le meraviglie del duemila, un fantascientifico alla pari dei racconti del già citato scrittore francese Jules Verne, ritenendo l’opera di Salgari come il testo più importante della protofantascienza italiana. Venne persino premiato dalla regina Margherita con il titolo di cavaliere dell’ordine della Corona D’Italia. Ma nonostante questi grandiosi successi, Emilio di certo non poté ritenersi uno scrittore fortunato.
Come ho già citato poche righe fa, Emilio dovette già da giovane affrontare la tragica perdita del padre causata dal suicidio, lanciatosi dalla finestra dell’abitazione di alcuni loro parenti. Oltre a ciò gli stipendi che le case editrici gli propinavano erano sempre ai minimi termini, portando uno dei più importanti scrittori di romanzi d’avventura italiani a possedere una moltitudine di debiti considerevoli. Per di più la situazione peggiorò quando la moglie impazzì, costringendo non solo ad aumentare ulteriormente le spese famigliari, ma persino a rinchiuderla all’interno di un istituto mentale. Per non parlare della moltitudine di lavoro che ogni giorno doveva sostenere per poter guadagnare quelle poche briciole di denaro. Scriveva tre pagine al giorno per tentare di completare, come secondo il contratto richiedeva, tre libri all’anno, accompagnato da una miriade di sigarette e da molti bicchieri di Marsala che lo resero ancora più teso e nevrotico. Quando si riposava lo faceva dirigendosi presso la sua amata biblioteca di Torino, continuando anche ad orari tardivi le sue costanti ricerche che gli permettevano di ricreare personaggi e luoghi meravigliosi e romantici. Era uno scrittore di grande talento che non veniva neppure preso in considerazione dai club letterari torinesi, portandolo infine ad una scelta che mai avremmo voluto augurargli.
Dopo aver già tentato una prima volta il suicidio, salvato dalla figlia primogenita Fatima mentre cercava di cadere sopra la lama di una spada, si arriva al fatidico 25 aprile 1911. Lasciò a casa tre lettere d’addio, alcune per chiedere scusa alla propria famiglia, mentre altre per le case editrici, lanciando a quest’ultimi l’accusa di essere stati degli avvoltoi. Una delle parti più famose di queste lettere fu:
A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.
Alle 18 di quello stesso giorno una giovane lavandaia di nome Luigia Quirico, intenta a cercare legname per la sera, trovò con orrore presso Valle San Martino il cadavere di un uomo, deturpato da profonde ferite. All’arrivo della polizia si scoprì ben presto la sua identità: il nostro Emilio Salgari, deceduto con una profonda ferita sul ventre ed un’altra sul collo. Un uomo che, dopo disavventure ed ingiustizie, decise di togliersi la vita come solo un suo personaggio avventuroso poteva fare; attuando seppuku, come un samurai della letteratura, con il volto puntato verso il tramonto che avrebbe concluso il capitolo di un grande scrittore italiano.
Ahimè con la sua morte i problemi per la famiglia non fecero altro che peggiorare. La moglie morì in manicomio, la figlia maggiore Fatima perse la vita per la tubercolosi ed un altro figlio, Romero, prese la stessa strada del suicidio come il padre ed il nonno. Un altro figlio, Nadir, rimase vittima di un incidente in moto durante il suo servizio militare, mentre l’ultimo sopravvissuto, Omar, decise anche lui di porre fine alla sua esistenza buttandosi da un condominio torinese. Un’intera famiglia cessò di esistere tra tragici avvenimenti ed ingiustizie, erede però di un’identità letteraria che, grazie al padre sognatore, ancora oggi sopravvive grazie a lettori d’Italia e di tutto il mondo.
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