“Possa lo stato essere pacifico e prospero; ad est saluta la pallida luna, e ad ovest dice addio al sole che tramonta”. Queste sono le parole che ravvivarono le tensioni tra il clan Tokugawa, da pochi anni padrone del Giappone unito, e di quello Toyotomi, sconfitto ma ancora pericoloso. L’egemonia nipponica, seppur ristabilita dopo la Battaglia di Sekigahara, doveva fare ancora i conti con una guerra interna che poteva dimostrare il potere dello shogunato, come l’esatto contrario.
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Sekigahara, 21 ottobre 1600. L’epico scontro che vide Leyasu Tokugawa sconfiggere le opposizioni di Ishida Mitsunari, raccontato in un nostro vecchio video, parve portare in tutto il Giappone la tanto agognata pace che mancava da tempo. leyasu, seppur bramoso e vendicativo, volle tenere in vita alcuni dei clan sconfitti per impedire di incitare ribellioni. E tra questi clan vi fu lo stesso Toyotomi.
Quest’ultimo venne lasciato a detenere il controllo di Osaka ed il loro capo, ovvero Toyotomi Hideyori, volle ripotenziare il feudo costruendo il castello dell’omonima città. Non solo, volle che a Kyoto venisse eretto un tempio, più comunemente conosciuto come Hoko-ji, al cui interno venne posta una campana di bronzo su cui venne scritta la frase poc’anzi citata. Seppur apparentemente innocua e pacifica, lo shogun vide in essa una provocazione ed un incitamento alla rivolta contro la dominazione di Edo, riportando in vita lo spettro di un’imminente guerra.
Entrambi gli schieramenti infine incominciarono a raccogliere uomini d’arme, samurai e ronin, ognuno giurato nemico dell’altro. E seppur lo shogunato venne consegnato al figlio di Leyasu, Hidetada, il padre ancora in vita aveva abbastanza potere da incentivare la guerra, scatenandola ufficialmente l’otto novembre del 1614.
Avvantaggiati dalle innovative armi giunte dai portoghesi, gli archibugi, lo shogun ebbe una facile avanzata giorno dopo giorno, sconfiggendo il nemico fin quando non gli si parò davanti l’imponenza del castello di Osaka. Da quel momento gli assalti si rivelarono sempre più impegnativi, dove circa 165 000 uomini dello shogun tentarono in tutti i modi di sopraffare i 90 000 di Hideyori ed alleati. Si dovettero persino sfruttare 300 cannoni, sempre d’importazione europea, per portare i due clan ad un accordo nella quale Hideyori prometteva di non ribellarsi mai più, interrando il fossato esterno e distruggendo la cinta muraria esterna della fortezza.
Ad aprile del 1615 però, segno che uno scontro finale doveva comunque realizzarsi, il clan Toyotomi non volle mollare la presa e non solo incominciò a reclutare un’armata ancora più grande della precedente, ma fece il possibile per fermare l’interramento del fossato. Leyasu, ben intenzionato a distruggere una volta per tutte chi osava contrastare il dominio della sua casata, non esitò a rimettere in marcia le proprie truppe e a conquistare le prime vittorie nei dintorni di Osaka, come nella battaglia di Domyogi. Nonostante gli sforzi sia da parte dell’armata occidentale che da quella orientale, con la morte di Sanada Yukimura, il comandante del fronte anti shogunato, la ribellione incominciò a traballare e le suddette truppe si ritirarono disorganizzate all’interno del castello di Osaka. Questa volta però, mostrando ben poca misericordia, il clan Tokugawa rigettò su di esso tutta la potenza d’artiglieria di cui disponeva e l’intero edificio andò a fuoco, estinguendo infine la ribellione e soprattutto il clan Toyotomi. Ci vorranno circa 250 anni prima che scoppi una ribellione contro lo shogun, quando la guerra boshin ridarà il potere all’imperatore di Kyoto. Il castello di Osaka, ricostruito e distrutto più volte nei secoli, è tutt’oggi una delle mete più ambite del Giappone ed un simbolo della sua storia.
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